L’architettura normativa del nostro ordinamento giuridico è pensata dall’uomo per sé stesso e considera l’uomo quale centro della società, referente principale, se non unico. Perciò gli animali hanno sempre trovato poco spazio per affermare la propria soggettività giuridica, essendo stati considerati quali “cose” a completa disposizione del genere umano.
Questa visione antropocentrica ancora oggi caratterizza i moderni sistemi giuridici, malgrado sia più che evidente, grazie ai progressi compiuti dalla scienza medica e dall’etologia, che gli animali non sono cose, ma esseri senzienti in grado di provare piacere e dolore e per questo certamente portatori di interessi.
Tuttavia, il nostro codice civile classifica gli animali come “cose” suscettibili di appropriazione, rifacendosi al diritto romano che distingueva tra RES e PERSONAE.
Ne consegue che, alla luce del vigente diritto positivo gli animali in quanto “cose” possono essere soltanto oggetto di diritti (art. 810 c.c.), in particolare oggetto di proprietà.
Al riguardo è espressamente previsto che gli animali che “formano oggetto di caccia o di pesca”, gli animali mansuefatti, i colombi, i conigli e gli sciami d’api possono essere acquistati in quanto “cose suscettibili di occupazione” (art. da 923 a 926 c.c.).
I parti degli animali sono considerati frutti naturali. “Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo.”(art. 820 c.c.)
Gli animali possono essere oggetto di compravendita, di donazione e di successione mortis causa.
Gli animali d’affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali e gli animali impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli, sono considerati cose mobili assolutamente impignorabili. (art. 514, n.6-bis e n.6-ter, c.p.c.).
Nonostante il quadro normativo delineato, dal punto di vista tecnico teorico sembra possibile riconoscere anche in capo ad individui animali alcuni diritti, nel medesimo senso in cui si intende attribuirli agli esseri umani.
In effetti non si ritiene illogico o contraddittorio configurare la titolarità di diritti in capo all’infante, al demente, a colui che non ha più coscienza, a colui che è in stato vegetativo persistente, all’incapace di intendere e di volere. Detti soggetti spesso non sono in grado né di comprendere la portata dei diritti ad essi attribuiti, né tanto meno sono in grado di azionare alcuna pretesa giuridica.
E’ importante precisare, inoltre, che il concetto di soggettività giuridica non è necessariamente connesso con l’idea di individuo della specie umana, anche perché, allargando l’esempio paradigmatico dell’incapace, ben possono sussistere interessi di una collettività, di un patrimonio separato o di enti o associazioni (persone giuridiche), che persone fisiche non sono, ma alle quali si riconosce la realtà fenomenologica di autonomi centri di imputazione di interessi.
Ciò considerato, un tentativo per riconoscere la soggettività giuridica agli animali potrebbe essere quello di rimodulare la stessa disciplina positiva della “capacità giuridica”, riconoscendo appunto gradi differenziati di soggettività giuridica.
La tutela, poi, potrebbe sostanziarsi nella semplice posizione di obblighi umani nei confronti dell’animale, ma non sussisterebbero ostacoli a configurare dei veri e propri diritti, dei quali la figura di un tutore avrebbe il compito di occuparsi.
Una possibile conseguenza pratica del riconoscimento della soggettività giuridica, ad es. nel caso di separazione tra coniugi, è che l’animale d’affezione non sarebbe più considerato un bene mobile che rimane nella disponibilità del proprietario, individuato in base alla registrazione all’anagrafe canina, ma la sua natura di soggetto senziente imporrebbe di pensare una disciplina analoga a quella dettata per il collocamento di un figlio minore, perseguendo la finalità di garantire il maggior benessere dell’animale. Sul punto si segnala che recente giurisprudenza di merito, in presenza di comunanza di intenti fra coniugi, ha omologato il patto tra i medesimi che disponeva in questo senso. (Trib. Roma n. 5322/2016; Trib. Milano, Sez. IX, Decreto 13 marzo 2013; Trib. Como, Decreto 3 febbraio 2006)
Tuttavia, in mancanza dell’accordo tra coniugi, il giudice non è obbligato a pronunciarsi sul collocamento dell’animale da compagnia, come statuito dal Tribunale di Milano con ordinanza del 2 marzo 2011, in tal caso avrà vigore il regime dei diritti reali.
Riguardo al tema di cui si sta trattando, giova segnalare che ad oggi ci sono circa 120 facoltà giuridiche statunitensi, comprese quelle di Harvard, Stanford e Columbia che hanno istituito programmi sui diritti degli animali.
Nei corsi alcuni docenti propongono strategie per promuovere i diritti degli animali attraverso lo studio di casi emblematici che mettano in discussione l’idea degli animali come oggetto di proprietà e garantiscano loro alcune tutele riservate agli uomini. Altri affermano l’esistenza di diritti fondamentali degli animali, non vedendo per quale motivo ad esempio, le scimmie non dovrebbero godere di diritti simili a quelli di un neonato o di un individuo in coma.
Per quanto concerne il nostro ordinamento giuridico, è bene evidenziare che la presenza in Costituzione nell’art. 117, comma 2, lett. s), di un esplicito riferimento alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” e dunque degli animali quale componente essenziale dell’uno e dell’altro, e la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ha consentito alle regioni di esplicitare la posizione costituzionale che possono assumere gli animali come tali e di riconoscere il loro diritto ad essere rispettati nel benessere e nella dignità.
In particolare lo Statuto della Lombardia “promuove il rispetto per gli animali” (art. 2, comma 4 lett. k). Lo Statuto del Lazio “promuove la salvaguardia dei diritti degli animali previsti dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa comunitaria” (Art. 9, comma 1, legge Stat. n.1/2004). Lo Statuto del Piemonte nel preambolo si impegna a “promuovere il riconoscimento dei diritti degli animali” (legge Stat. 4.03.2005). Lo Statuto della Toscana promuove “la cultura e il rispetto degli animali” (art. 4, comma 1, lett. e). Lo Statuto delle Marche promuove “la cultura del rispetto degli animali affermando il principio di una loro corretta convivenza con gli esseri umani (art. 5, comma 2, legge Stat. 8.03.2005) sulla stessa scia anche gli Statuti dell’Abruzzo, della Calabriae dell’Emilia Romagna.
Orbene, anche se a queste norme programmatiche la Corte costituzionale ha negato efficacia giuridica, esse hanno comunque una funzione culturale o politica.
Ne discende, alla luce delle considerazioni svolte, che il riconoscimento della soggettività giuridica degli animali sembra comunque un traguardo raggiungibile.
La differente valutazione giuridica operata tra esseri umani ed esseri animali appare infatti irragionevole e, in ossequio al principio di eguaglianza è congruente e necessario riconoscere capacità giuridica e status giuridico agli esseri animali.
Auspichiamo pertanto che il legislatore affianchi alla soggettività giuridica umana, la soggettività giuridica animale, poiché è solo all’idea di un diritto soggettivo che si collega una reale tutela da parte dell’ordinamento giuridico e dei suoi organi inducendo una maggiore inibizione dei consociati al compimento di illeciti.
(Avv. Daniela Russo)
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